L'abbazia dei Santi Quaranta Martiri ed i bagni di Caronte

L’abbazia dei SS. Quaranta Martiri, fondata tra il IX e il X secolo, dopo essere stata sotto la giurisdizione del vescovo di Nicastro insieme alla vasta foresta del Mitoio, alla metà del XV secolo cadde in ‘commenda’, ossia l’uso del suo beneficio, rimasto vacante, fu affidato ad un abate detto ‘commendatario’ che, pur non divenendone titolare, lo conservava però a vita percependone le rendite. In una bolla del papa Martino V del 20 giugno 1426 si parla della “Ecclesia ruralis de Sanctoquaranta de Balneo S. Euphemiae” con la specificazione che “dicta ecclesia, ut asseritur, fuerat monasterii SS. Quadraginta Martyrum de Aquiscalidis seu Sancti Blasii, O. S. Bas., sed a longissimis temporibus clericis saecularibus in titulum perpetuum commissa”. Il 28 gennaio 1427 il papa Martino V dava mandato al vescovo di Squillace affinché il presbitero di Strongoli Egidio (o Eligio) Guardabassio si prendesse cura dell’abbazia “vulgariter nuncupata de Santaquaranta de Balneis S. Euphemiae”, vacante per la morte del rettore Riccardo de Aprutio. L’8 aprile 1516 il beneficio semplice dell’abbazia chiamata, “SS. Quadraginta Martyrum de Aquis Calidis”, vacante “per resignationem” del chierico romano Prospero de Capranica, viene affidato a Cristoforo de Bordano o Bendato o Badoiza, “clerico Segobien.”. Nel 1521, “per liberam resignationem Christophori de Badoiza, clerici Segobien.”, il beneficio dell’abbazia passa in commenda a Pietro Paolo Minardi (definito chierico di Catanzaro in una bolla del 6 aprile e canonico e cimiliarca di Napoli in un’altra del 9 aprile). Cristoforo però riserva per sé una pensione annua di 150 ducati sui frutti della stessa abbazia. Nel 1542 la commenda, vacante “per resignationem Sebastiani de Vimbesca”, passa a Ludovico de Torres, “clericus malacitanus, segretarius apostolicus”, familiare del papa Paolo III (1534-1549).

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Icona Santi Quaranta Martiri

Nel 1547 allo stesso passa anche la pensione annua di 18 scudi d’oro che sui frutti dell’abbazia vantava Bernardo Silverio Piccolomini. Nel 1548 la commenda dell’abbazia passa a Giovan Domenico de Cupis, vescovo di Ostia. Nel 1550 il papa concede al chierico romano Francesco de Vadaio una pensione annua di 60 ducati sui frutti dell’abbazia. Nello stesso anno la commenda passa ad Alessandro Guidiccione, “episcupus Adiacen.”. Nel 1553 diventa “abbas seu commendatarius” dell’abbazia (che risulta chiesa parrocchiale) il chierico di Melfi Lucio Gallo, familiare del papa Giulio III. Sui frutti dell’abbazia viene assegnata una pensione di 60 ducati al chierico romano Francesco Bandino contro il volere dell’abate che ricorre al tribunale della Curia romana. Nel 1570 risulta ancora “abbas seu perpetuus commendatarius” lo stesso Lucio Gallo. Alla morte di Lucio Gallo la commenda nel 1577 passa al diacono Giovan Battista (chiamato nei documenti Carubio o Carolio o Cannobio o Canobbio), parente del papa Gregorio XIII. Nel 1596 diventa commendatario Offredo de Offredis (I.U.D.), chierico di Cremona, parente del cardinale Aldobrandini, che però deve garantire una pensione di 100 scudi, sui frutti dell’abbazia, al chierico fiorentino Marco Cellini.

Nel 1598 Offredo viene nominato vescovo di Melfi, ma mantiene la commenda dell’abbazia. Alla morte di Offredo nel 1605 diventa commendatario Marco Antonio Tano, parente del papa Paolo V (1605-1621). Alla morte di costui Urbano VIII, con bolla dell’11 gennaio 1631, assegna la commenda dell’abbazia al cardinale Giovanni Battista Panfili, con una rendita di 250 ducati. Due anni dopo il papa dà mandato al vescovo e al vicario generale di Martirano affinché si adoperino a far recuperare e restituire all’abate commendatario “census et frugum quantitates” spettanti all’abbazia, ma ad essa sottratti e da tempo non più versati. Nel 1644 Innocenzo X , appena eletto papa, assegna l’abbazia che risulta “de iure patronatus laicorum, forsan nobilium”, al suo familiare Costantino Centofiorino. Nel 1645, accogliendo la richiesta dei ministri dell’ordine gerosolimitano che a Messina provvedevano alla costruzione di alcune navi triremi, il papa concede al Centofiorino, definito commendatario perpetuo dell’abbazia, il permesso di far tagliare una certa quantità di alberi della foresta di pertinenza dell’abbazia (Mitoio) e col ricavato della vendita provvedere al restauro della chiesa e delle abitazioni dell’abbazia e a fare opportuni paramenti sacri, a condizione che il taglio degli alberi non faccia diminuire i redditi dell’abbazia stessa. Nel 1669, in seguito a libera rinuncia del Centofiorino, la commenda viene assegnata a Curzio trenta, familiare del cardinale Francesco Rospigliosi. Nel 1696, alla morte di Curzio Trenta, il papa Innocenzo XII assegna la commenda dell’abbazia al cardinale Vincenzo Petra.

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Facciata Abbazia Santi Quaranta Martiri

IL’anno successivo i vescovi e i vicari generali di Nicastro, Squillace e Gerace ottengono dal papa il mandato per far recuperare all’abate commendatario “census, bona, scripturas, concernentes praesertim confinia et terminos praediorum dictae ecclesiae, libro set paramenta magni momenti etc., ad dictam ecclesiam legitime spectantia subtracta”. Lo stesso mandato nel 1728, essendo ancora commendatario il cardinale Vincenzo Petra, viene ribadito da Benedetto XIII ai vescovi di Nicastro e Gerace nel 1728, perché si prodighino al recupero di diversi beni mobili e immobili dell’abbazia tra cui “domos, remora, possessiones, canones, livellas, laudemia, bona, scripturas fidem facientes praesertim in confiniis et terminis praediorum, libros, frugum quantitates, decimas, primitias, pannos magni momenti”, da anni abusivamente occupati o addirittura sottratti e mai recuperati. Il 20 dicembre 1741 con bolla di Benedetto XIV la commenda viene affidata al sacerdote di Squillace Gregorio Cosenza, in seguito alla rinuncia del cardinale Vincenzo Petra che però si riserva una pensione annua di 60 ducati sui 120 del patrimonio dell’abbazia. Nel 1742 il beneficio dell’abbazia fu conferito a Valerio Riccio, il quale sostenne la nullità del contratto del 1716 (mettere meglio vedi Caronte, notaio Caputo). Perciò nel 1750 avviò una causa, risoltasi con giudizio del Sacro Regio Consiglio del 12 dicembre 1751, che sanciva l'annullamento del contratto e la resti¬tuzione delle fonti al demanio. Il 24 aprile 1755 fu posta fine alla lite con un accordo, redatto dal notaio Stagapiede di Napoli, nel quale le sorgenti venivano concesse in enfiteusi ‘ad meliorandum’ ai Cataldi per altre tre genera¬zioni, per 45 ducati annui

Nel 1776 la badia e il Mitoio passarono a Giuseppe Maria del Ponte di Cava dei Tirreni. Nel 1790 subentrò Don Giuseppe Vitale del Ponte il quale concesse in fitto la badia e i suoi beni, eccetto le terme, per sei anni al marchese Don Francesco D’Ippolito. Nel 1795, per la morte del commendatario, la badia fu amministrata per conto della Giunta della Cassa Sacra dal barone Nicola Maria Nicotera, ‘attuario’ a Nicastro della stessa Cassa. Nel 1796 fu affidata a Roberto Filangieri, giovane figlio del noto illuminista Gaetano Filangieri, che nominò suo procuratore speciale Don Giacinto Nicotera Severisio. Nel primo ottocento risulta affidata all’abate Perretti e dopo di lui a Don Guglielmo Winspeare, figlio del maresciallo Don Antonio Winspeare di Napoli.

L’ORIGINE DEL TOPONIMO CARONTE

Il nome CARONTE non ha niente a che fare con il dantesco traghettatore “Caron dimonio”, ma è una deformazione popolare di QUARANTA, nome delle antiche acque di Sambiase. Da sempre le attuali terme Caronte sono state conosciute come i bagni o le acque minerali di Sambiase. Il nome Caronte è successivo ed è da collegare all’abbazia dei Quaranta Martiri. Una conferma la si trova in una relazione contenuta nel vol. 44 (maggio-agosto 1847) degli Annali Civili del Regno delle Due Sicilie, Tipografia del Real Ministero di Stato degli Affari Interni nel Reale Albergo dei poveri, Napoli 1847, pp. 52-61. In questo numero degli Annali Civili, in riferimento ai lavori delle Società economiche delle province del Regno, c’è la relazione sugli “Studi statistici sull’industria agricola e manifatturiera della Calabria Ultra II fatti per incarico della Società economica della provincia dal segretario perpetuo avvocato Luigi Grimaldi professore di diritto nel Real Liceo”. Nella sezione seconda si parla delle acque minerali di Sambiase. Così erano conosciute allora le attuali terme Caronte. Riportiamo integralmente il testo.

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Terme Caronte: foto d'epoca

"Le più importanti nella provincia sono le acque minerali di Sambiase che hanno acquistato non dubbia rinomanza. Ecco quanto può dirsi delle stesse. Circa un miglio distante dal paese, le montagne Riventino, Portella, Montagnola, Mittoio, Mancuso, Muzzari o Quarantamartiri e S. Elia formano un gruppo spiccantesi dalla catena degli Appennini ed elevantesi a gradi dal fiume Lamato. Sono tali monti diramazioni del primo che ha per branche principali a sinistra la montagna Muzzari, a destra l’altra Mittoio e più in là quelle detta Mancuso. Coteste montagne parimenti che il resto del gruppo sono di natura calcarea e coverte un tempo da molti alberi, di elci, querce, sugheri etc. che or sono nella più parte distrutti. Tra il Muzzari e S. Elia scorre il rapido torrente Bagni che prima di giungere a tal sito percorre dal nord al sud sei miglia sotto il nome di Formiti, e poscia dopo percorso altrettanto spazio al sud, sbocca nel golfo di S. Eufemia nel verno; e nella state le sue acque in parte sono deviate per irrigare i campi vicini ed in parte vengono dalla terra assorbite. A destra ed a sinistra del torrente scorrono le acque minerali che son fredde e termali. Le prime hanno origine nel lato est del monte S. Elia e le altre al nord del monte Muzzari. Quelle son fredde ad eccezione di una. Le une e le altre scaturiscono dalle basi di detti monti a livello del torrente ed alcune delle termali nello stesso suo letto. Tutte sboccano in esso e le sue acque diventano perciò torbide e biancastre. Tali bagni sono distanti miglia quattro e mezzo dal mare, sotto il grado 38°45’ longitudine orientale dal picco di Teneriffa, ossia 14°35’ da Parigi, 16°17’ da Greenwich e 2°11’ da Napoli. Sono essi in una valle aperta al sud-est, senza ventilazione e dominata nei mesi estivi in cui prendonsi i bagni dai venti scirocco e ostro perniciosi in quell’epoca. La temperatura in essa varia nella stagione dei bagni da’ 19 a 23 gr. R.

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Terme Caronte: foto d'epoca

Sovente gli ammalati ritornando dai bagni son soggetti a febbri di mutazione che a parere del dottor Colosimo potrebbero evitarsi profittando dei bagni non nel mese di luglio come si fa, ma in quei di maggio e giugno. Nelle sorgenti a sinistra al nord-ovest del Muzzari sono costruite delle vasche ove una volta esisteva la chiesa dedicata ai Quaranta Martiri, donde non solo ebbe nome il monte, ma anche le acque che da taluni vengono così chiamate. Su di una prossima collinetta vi è lo stabilimento dei bagni consistente in poche casette delle quali alcune sono a pian terreno e quasi tutte mal condizionate e miserabili, ed in una chiesetta ove nei dì festivi si celebra la Messa. Per la concorrenza si uniscono alle volte da sei a dieci persone dentro una sola cameretta oltremodo angusta a mal custodita. Si paga moltissimo e moltissimo si soffre. E’ da più secoli che tali acque sono conosciute ed usate. Ne discorrono il Barrio, il Marafioti, il Grano, il Fiore ed il P. Elia di Lamato, che rispettivamente pubblicarono le loro opere nel 1571, 1601, 1670, 1691, 1723. Ignorasi quando furono tali acque per la prima volta scoperte ed è probabile che il torrente, portando via la terra che le sovrastava, le avesse fatte conoscere. La loro virtù medicinale dicesi per tradizione sperimentata a caso da taluni pastori che n’ebbero vantaggio. La contrada dove sono i bagni con molti boschi e terreni adiacenti apparteneva un tempo al cardinale de Petra ed or fa un secolo e mezzo fu in parte censita alla famiglia Cataldi di Sambiase che n’è l’attuale possidente. Si cominciò ai principi del passato secolo dal proprietario del luogo a farvi delle casette, ma distrutte nel 1781 da una alluvione, ricostruite vennero nel luogo ove trovansi.

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La Società Economica fin dalla sua istituzione si occupò delle indicate acque. Il socio Signor Vincenzo Colosimo fu il primo a descrivere ed a farne l’analisi in luglio del 1819. Il suo lavoro venne presentato al Consiglio provinciale cui dall’Intendente di allora fu fatto il progetto di fondare nel luogo dei bagni un pubblico stabilimento. Poscia l’altro socio sig. Nicola Calcaterra nel 1828 ne fece oggetto di una sua memoria in cui fra l’altro espose gli inconvenienti che vi erano nel luogo dei bagni e propose di rivendicarsi dal Governo la proprietà delle acque e costruirvisi adatte terme. In quanto poi all’analisi ed usi delle acque se ne occuparono poscia i Soci Signori Parrocchia, Montesanto e Ricca. E comunque l’analisi di quest’ultimo sia la più completa, pure il ch. A. stima utile qui ricordare le fatiche di tutti perché si vegga il sistema da ognuno seguito. Il signor Parrocchia scriveva su tali acque:

“Le acque minerali di Sambiase mandano anche da lontano un putore molto simile a quello delle uova guaste; il loro sapore non è meno ributtante e nauseoso; ingialliscono l’argento e depongono dello zolfo; trattate col nitrato d’argento, precipitano in nero; col muriato di mercurio sopra-ossigenato, formano un precipitato aranciato o bianco se si usa il solfato di zinco; contengono pure gas idrogeno solforato, dei solfuri idrogenati di calce e di potassa, e molto solfati e muriati le di cui basi sono alcaline in alcune sorgive e terrose in altre. In alcune anche vi si trova il gas acido carbonico”.

“Le acque termali si possono classificare in due specie. All’una appartengono quelle che sono della temperatura di 22 a 75 gradi del termometro centigrado e trattate con gli acidi sviluppano gas idrogeno solforato e precipitano zolfo. Le acque minerali fredde possono anche classificarsi in quelle che per mezzo degli acidi sviluppano il gas idrogeno solforato senza precipitare zolfo e sono di temperatura superiore a quella dell’atmosfera e le altre che sono di temperatura eguale; e mediante l’indicato mezzo precipitano zolfo. Si osservano pure delle acque ferruginose che hanno un sapore analogo a quello del metallo che contengono e, quando lungo tempo sono esposte al contatto dell’aria, la loro superficie è coperta da uno strato ferruginoso che presenta vari colori e principalmente il rossastro. Sono sciolti in esse vari sali a base terrosa ed alcalina, nonché di carbonato di ferro”.

“Le acque termali sono utili per bagni nelle malattie croniche nervose, reumatiche, cutanee e sifilitiche confermate. Lo sono pure nell’anchilosi, debolezza di utero, paralisi locale o generale”

Poi in un solo articolo riportava “le analisi rispettivamente fatte nel 1819 e nel 1832 dai Signori Colosimo e Montesanto, che contengono quasi le stesse cose e seguono lo stesso ordine”.