I due vescovi di Nicastro diventati Papi
Due vescovi di Nicastro sono diventati papi nel sec. XVI. Si tratta di mons. Marcello Cervini e di mons. Giovanni Antonio Facchinetti. Marcello Cervini, nato a Montepulciano il 6 maggio 1501, che era zio materno di S. Roberto Bellarmino, famoso cardinale e grande inquisitore, proclamato santo e oggi conosciuto come patrono dei catechisti. Cervini era noto come umanista e mecenate e, soprattutto, come traduttore di classici latini e greci nonché raccoglitore di manoscritti e libri rari. Ricopriva la carica di Protonotario apostolico quando fu ordinato vescovo di Nicastro il 27 agosto del 1539. Non venne però mai in sede, amministrando tuttavia sapientemente la diocesi da lontano per un solo anno, in quanto nel 1540 fu nominato cardinale. Fu uno dei legati papali che per tutto il 1545 si adoperarono per superare le difficoltà dell’avvio del Concilio di Trento a causa dei contrasti sorti con i prelati francesi e tedeschi. Fu lui che fece scegliere tra i traduttori dei testi dal greco in latino il chierico Guglielmo Sirleto di Guardavalle, suo protetto, che era diventato il suo consulente scientifico e bibliotecario della Biblioteca Vaticana. Fu eletto papa il 9 aprile del 1555 col nome di Marcello II. Il suo pontificato però durò poco, in quanto la morte lo colse dopo appena 22 giorni. Fu sepolto nella basilica vaticana.
Papa Marcello II
In un’epoca di grave decadenza e discredito del papato, invischiato nelle lotte dinastiche, negli intrighi di palazzo e nel più esasperato nepotizmo, il papa Cervini volle conservare il nome di battesimo (Marcello) per dimostrare anche da sommo pontefice la coerenza della sua vita improntata sempre a grande rigore morale, sobrietà e fedeltà ai valori evangelici. Proprio per questo, onde allontanare ogni sospetto di nepotismo, vietò ai parenti di fargli visita a Roma. Il giorno dell’incoronazione volle una cerimonia priva di sfarzo. Come sua prima azione contro il lusso e lo sperpero di denaro del vaticano fece fondere tutte le stoviglie e gli oggetti d’oro della cucina per devolverne il ricavato a sostegno dei poveri. Fortemente convinto della necessità di una urgente riforma della Chiesa e sicuro che essa dovesse essere difesa dalla sola forza della fede e non dalle armi, voleva abolire le guardie svizzere. Aveva anche in mente di eliminare dagli uffici vaticani tutti gli ecclesiastici per affidarne la gestione e funzionari laici. Non poté però realizzare nessuno dei suoi progetti perché il suo pontificato durò poco in quanto la morte lo colse dopo appena 22 giorni. Fu sepolto nella basilica vaticana. Il nome di Marcello II e di Guglielmo Sirleto è legato al grande monastero lametino di S. Maria del Carrà, il più prestigioso tra i monasteri basiliani di Calabria, che divenne famoso soprattutto per il suo scriptorium dove furono copiati da esperti amanuensi diversi codici, tra cui il Vaticano greco 2001 e il greco Vaticano 2221 (recentemente esposti nel monastero di Montecassino).
Papa Innocenzo IX
Nella biblioteca c’era una grande quantità di preziosi volumi miniati tra cui un Evangelario, scritto ‘licteris aureis in cartis rubeis’, prezioso come il celeberrimo codice purpureo della cattedrale di Rossano. C’erano ancora tanti altri manoscritti greci patristici, ascetici, agiografici, libri liturgici. Tra di essi vi erano anche un trattato di medicina e uno di diritto canonico, “l’unico posseduto dai monasteri basiliani calabresi in quel tempo”. Gli esemplari più preziosi dei manoscritti del monastero del Carrà andarono a finire al Vaticano. Infatti, nel 1547 Marcello Cervini, di cui Guglielmo Sirleto era segretario particolare al Concilio di Trento, in qualità di responsabile della Biblioteca Vaticana, diede disposizione affinché venissero inventariati e requisiti tutti i codici e i preziosi libri conservati nei monasteri calabresi. Fu proprio in quegli anni che furono asportati tutti i codici e i manoscritti sia sacri che profani del monastero del Carrà e inviati a Roma. Iniziava la grande diaspora del patrimonio librario medievale calabrese, ma, soprattutto, fu il colpo definitivo inferto al patrimonio librario dei centri basiliani calabresi, grazie anche al fatto che dal 4 marzo 1566 il Sirleto era stato nominato “visitatore e correttore dei monaci basiliani di Basilicata, Calabria e Sicilia”. L’altro vescovo nicastrese eletto al soglio pontificio, Giovanni Antonio Facchinetti de Nuce, nacque a Bologna il 20 luglio 1519. Fu nominato vescovo di Nicastro il 26 gennaio 1560, mentre ricopriva la carica di Abbreviatore delle Lettere Apostoliche. Al contrario di Marcello Cervini scese a Nicastro a prendere possesso della diocesi in cui anche gli altri due vescovi suoi predecessori Giacomo Savelli e Mariano Savelli erano stati assenti. Ci restò però per poco tempo in quanto nel 1562 fu inviato dal papa al Concilio di Trento. A lui si deve comunque nel 1565 la fondazione del seminario diocesano, dove venivano educati gratuitamente 8 seminaristi con una porzione delle rendite della chiesa di S. Maria Cattolica di Maida e con tutte quelle del Priorato di S. Spirito, la cui chiesa esisteva presso Terra-vecchia.
Nello stesso anno 1565 Facchinetti ammise nella diocesi di Nicastro i Conventuali e nel 1566 i Carmelitani a Sambiase. Rinunciò al vescovato di Nicastro nel 1575, quando fu nominato Patriarca di Gerusalemme. Ordinato cardinale nel 1583, fu eletto papa il 29 ottobre 1591 col nome di Innocenzo IX. La città di Nicastro, onorata per la seconda volta di questo evento eccezionale, esternò tutta la sua gioia inviando a Roma un’apposita ambasceria composta dai cittadini più rappresentativi. Come Marcello II anche Innocenzo IX rimase poco sul soglio pontificio in quanto, dopo appena due mesi di pontificato, morì il 30 dicembre 1591. I busti dei due papi sono visibili sulla facciata della cattedrale di Lamezia Terme.