Il Castello di Nicastro
UN SOTTILE FILO TRA LEGGENDA E STORIA
Il castello normanno-svevo, oltre ad essere il simbolo di Nicastro, ha sempre esercitato un’attrattiva particolare per i molti viaggiatori stranieri che dal ‘700 in poi hanno visitato la Calabria. A tutti, come scriveva nel suo resoconto di viaggio l’inglese Henry Swinburne (1743-1803) nel 1778, il castello di Nicastro appariva allora come “un romantico rudere in posizione pericolante sul letto di un fragoroso torrente che scorre giù in una valle buia e boscosa”.
Il Castello
Storia e mito, attrattiva e paura si sono sempre mescolate intorno a questo maniero, avvolgendolo in un alone di mistero. Specialmente dopo il rovinoso terremoto del 1638, che abbatté il castello seppellendo sotto le macerie il feudatario principe Cesare d’Aquino, sono sorte tante suggestive leggende come quella della tana delle fate, quella della chioccia e i pulcini d’oro e, soprattutto, quella del paggio e della principessa, raccolte da don Pietro Bonacci nel suo volume su S. Teodoro, antico rione di Nicastro. Secondo la tradizione, quando cala la notte e tutto l’antico quartiere di S. Teodoro si addormenta, le fate escono dalle loro grotte di cui sono piene le sponde del torrente Canne e si aggirano intorno ai ruderi del castello e tra gli stretti vicoli, percorrendo poi il corso del torrente per raccogliere fiori, bacche e miele.
Ogni notte poi, all’interno del castello, una chioccia e dodici pulcini d’oro si aggirano in cerca di cibo, sorvegliati da una terribile maga che impedisce a chiunque di avvicinarsi. C’è poi chi racconta di un cavaliere che di notte si aggira intorno ai ruderi del castello e tanti giurano di sentire distintamente lo scalpiccio degli zoccoli del cavallo. Sarebbe lo spirito di Gerlando. Il tutto è collegato al racconto riguardante Federico II che nel 1245 abitava nel castello con tutta la sua famiglia. Dall’imperatore in persona fu adottata una trovatella che era stata accolta nella corte e alla quale fu imposto il nome germanico di Ingrid. Tra i tanti paggi che prestavano servizio nel castello ce n’era uno di nome Gerlando che fu assegnato al servizio della principessa Ingrid e finì per innamorarsene. Venutolo a sapere, l’imperatore minacciò di morte il paggio che, avvisato da Ingrid, in piena notte saltò in groppa ad un cavallo e fuggì dalla porta principale del castello che era fortunosamente aperta, rifugiandosi nella boscaglia sovrastante. L’imperatore diede ordine ai soldati di inseguirlo e riportarlo al castello. Ma fu tutto inutile e nessuno seppe dare notizie di Gerlando. Allora l’imperatore diresse la sua ira contro la principessa Ingrid facendola rinchiudere nella stessa stanza dove nel 1240 aveva tenuto prigioniero il figlio ribelle Enrico, re di Germania, accusato di aver favorito le mire autonomistiche dei Comuni dell’Italia settentrionale.
Il Castello
In questa conclusione la leggenda si lega alla storia vera. In effetti Enrico restò prigioniero per qualche tempo nel castello di Nicastro da dove poi fu trasferito a Martirano. Da qui doveva raggiungere S. Marco in provincia di Cosenza. Durante quest’ultimo tragitto il 12 aprile 1242, secondo una versione, cadde da cavallo restando gravemente ferito e con un femore rotto. Secondo un’altra versione invece si sarebbe volontariamente gettato in un burrone. Comunque, moribondo, fu riportato a Martirano dove morì pochi giorni dopo. Il suo cadavere fu poi traslato a Cosenza e sepolto nella cattedrale di quella città. La storia del castello ha altri importanti punti di riferimento con Federico II (che, tra l’altro, era anche terziario dell’ordine cistercense). Infatti, fu proprio lui che, avendo ereditato per via della madre Costanza d’Altavilla tutti i beni dei Normanni, provvide subito a riscattare la città di Nicastro dalla feudalità benedettina (che possedeva la metà della città, incluso il castello) dando in cambio all’abate dell’abbazia di S. Eufemia la terra di Nocera e il casale di Aprigliano. Al vescovo, che possedeva l’altra metà della città, diede in cambio la contea di Rocca Falluca. Inoltre, da una lettera del 1239, riportata nella Historia diplomatica di Federico II, risulta che in quell’anno questo re fece restaurare la rocca del castello e il tetto del grande palazzo che possedeva in contrada Carrà, proprio in mezzo alla omonima grande foresta che costituiva una grande riserva di caccia e che ospitata anche il grande monastero basiliano di S. Maria del Carrà.
Almeno altri due eventi riguardanti il castello meritano di essere menzionati. Infatti è certo che nel 1122 vi fu ospitato per due settimane il papa Callisto II mentre sembra che nel 1535 vi abbia sostato Carlo V di ritorno da Tunisi.