TRE ITINERARI STORICI NEL COMPRENSORIO MONTANO LAMETINO

I bacini dei fiumi Amato e Savuto rappresentano le strutture identitarie dei paesi cosiddetti del Reventino. I due corsi d’acqua, in parte navigabili nei tempi antichi, costituiscono non solo la sintesi paesaggistica, ma anche la memoria storica, demoantropologica, culturale ed economica delle varie comunità. Infatti, insieme all’altro fiume storico, il Corace, sono stati testimoni silenti di generazioni di popoli che alla loro acque dovevano la loro sopravvivenza. I paesi che gravitano sui due fiumi hanno avuto una plurisecolare storia comune che ne ha cementato l’identità. In particolare Settingiano, Gimigliano, Amato, Miglierina, S. Pietro Apostolo hanno avuto come punto di riferimento la contea di Tiriolo. A loro volta i paesi che si affacciano sul Savuto facevano parte della contea dei principi D’Aquino, signori anche di Feroleto cui andavano annessi Serrastretta e i villaggi montani gravitanti sull’abbazia di Corazzo. Tutti i paesi hanno un’altra caratteristica comune: essere nati da spostamenti di abitanti da un centro all’altro e da profughi provenienti dalle marine minacciate dalle incursioni saracene. L’unità amministrativa di questi comuni divenne anche religiosa nel 1818 quando la diocesi di Martirano fu aggregata a quella di Nicastro, che venne a comprendere quasi tutti i paesi del GAL. Nel 1799 parteciparono con i propri capimassa alla marcia della Santa Fede in difesa del trono e nel 1806 furono protagonisti della opposizione alla occupazione francese, pagando per quasi dieci anni un contributo di sangue e di risorse per il mantenimento delle truppe di occupazione. Con la Restaurazione borbonica dopo il Congresso di Vienna (1815) nel distretto di Nicastro furono inseriti tutti i paesi collinari e montani tra cui Amato, Conflenti, Decollatura, Martirano, Martirano Lombardo, Miglierina, Motta S. Lucia, Platania, San Mango d’Aquino, San Pietro Apostolo, Soveria Mannelli. Una prova ulteriore della storica unità identitaria di questi paesi la si ebbe nel 1848 allorché migliaia di uomini si unirono al capitano Francesco Stocco nella rivoluzione culminata con la battaglia dell’Angitola del 27 giugno contro le truppe del generale Nunziante. Determinanti nei rapporti tra le genti di questi paesi sono state le grandi fiere, collegate alle festività lo-cali, che in passato hanno costituito non solo l’occasione per scambi commerciali, ma anche appuntamenti annuali per i pagamenti dei fitti, per i contratti agrari e per le fide sul bestiame, in scadenza proprio nella data della fiera.

Primo itinerario del fiume Amato: da Settingiano a S. Pietro Apostolo

Lamezia Terme

Da Settingiano a S. Pietro Apostolo

SETTINGIANO

nessuna certezza sulle origini e sul significato del toponimo Settingiano. Di certo è documentata l’esistenza con questo nome, agli inizi del XIV secolo, di una “borgata di Tiriolo” facente parte della omonima baronia. Il “casale” dalle sette porte sarebbe cresciuto con l’arrivo di famiglie profughe dell’antico borgo medievale di Rocca Falluca abbandonato alla fine del XVI secolo a causa delle incursioni saracene. Queste famiglie sarebbero state sette. Ognuna di esse avrebbe edificato una casa e dalle sette porte (septem ianuae) di queste case sarebbe nato il nome Settingiano. Nel 1807 fu inserito nel distretto di Serrastretta col nome di “Scitingiano”. Nel 1811 diventò comune autonomo col nome di “Septingiano”. Di interesse per i turisti la chiesa della confraternita della Candelora (XV sec.), i ruderi del monastero brasiliano di S. Giuliano e la piccola chiesa della Madonna della Rocca.

AMATO

Amato ha origini albanesi, ma l’antico insediamento non è stato identificato. Certamente non è la sede attuale quella albanese. Infatti, i nuclei albanesi si sarebbero insediati in contrada “Piani d’Amato”, su un precedente insediamento abbandonato, nei pressi della confluenza del torrente Cancello col fiume Amato. In questo insediamento, antica cittadella distrutta, c’era la contrada “Gizzero”, il che fa supporre che alcuni albanesi di Piani d’Amato, nel corso delle rivolte del XVI secolo dei baroni contro il re di Napoli, si trasferirono nella loro futura sede di Gizzeria. Nel 1400 Amato era feudo dei Ruffo di Catanzaro, che lo cedettero ai Susanna, dai quali passò ai Rodio, ai Rocca e, infine, al principe di Maida. Verso il 1550 lo acquistò il barone Mottola di Joppolo di cui, fuori dell’abitato, si conservano i resti del castello. Interessante da visitare la chiesa dell’Immacolata edificata dai primi coloni.

MIGLIERINA

Secondo la tradizione furono dei coloni di Tiriolo, Scigliano e della valle del Savuto a costituire il primo nucleo abitativo di Miglierina in località Cusati. Ma, rivelatosi il luogo non adatto all’espansione del paese, ci si spostò più in alto, sul Monte Serra, dove insieme alle prime abitazioni fu eretto un piccolo tempio utilizzato pure come cimitero. Da questo luogo ricco di sabbia più adatta a preparare la malta (in dialetto “megghia rina”) deriverebbe il nome Miglierina (Migliarina nella relazione del vescovo di Nicastro del 1595). Miglierina fu casale di Tiriolo fino all’eversione della feudalità (1806). Meritano di essere visitate le due chiese di S. Maria del Principio e di S. Lucia risalenti alla fine del XVI secolo.

TIRIOLO

La “città dei due mari”, per la sua posizione al centro dell’istmo catanzarese, ha svolto nei secoli una funzione strategica. In età altomedievale sull’omonimo monte l’amministrazione bizantina costruì una fortificazione con tre cerchie murarie protette da torri quadrangolari e circolari. Ancora oggi quella posta a sud è chiamata Giudecca. Probabilmente costituiva l’antico quartiere ebraico. Tiriolo fu prima sotto i Carafa, poi del duca di Nocera e della famiglia Cicala. Erano infeudati a Tiriolo Miglierina, S. Pietro Apostolo, Settingiano e Gimigliano coi quali ha condiviso la sua plurisecolare storia. Si ricorda la sosta che il 13 settembre 1852 vi fece il re Ferdinando II nel corso del suo viaggio in Calabria. Acclamato dalla popolazione, il re stabilì il suo quartier generale nel convento dei Cappuccini dove festeggiò l’onomastico della regina, ascoltò la messa, distribuì elemosine e a diversi condannati politici (tra cui Silvio Spaventa) commutò la pena di morte in ergastolo e la reclusione in esilio perpetuo. Luoghi storici da visitare: i resti del castello, le chiese di Maria SS. della Neve e di S. Maria delle Grazie.

GIMIGLIANO

Gimigliano (“la terra delle mele”) ha avuto origine, nel corso del IX secolo, da profughi provenienti dalla costa minacciata dalle incursioni saracene. Gli insediamenti iniziali erano piccoli villaggi sparsi sulle falde del monte SS. Salvatore. Col tempo si aggregarono in due grossi centri, difesi da mura e torri, (Motta di Gimigliano Superiore e Motta di Gimigliano Inferiore), formando un solo comune. Nel 1481 Gimigliano fu concesso dal re ai Carafa di Nocera, che nel 1610 la vendettero a Carlo Cicala, principe di Tiriolo. Divenne comune autonomo nel 1807. È conosciuto per il santuario della Madonna di Porto e per le cave di marmo verde, in funzione fino agli ultimi anni del secolo scorso. Oltre che in palazzi e chiese locali e del comprensorio, il pregiato marmo fu impiegato anche nella Reggia di Caserta e a Roma nella basilica di S. Giovanni in Laterano. Oltre al santuario, meritano di essere visitati i monumentali altari della chiesa dell’Assunta e i ruderi della chiesa della Consolazione.

CICALA

Originariamente si chiamava Castriota perché fondata all’inizio del XVII secolo da Giovanna Castriota, madre del duca di Nocera. Il paese poi passò al principe Carlo Cicala il quale cambiò il nome, imponendogli il suo. Fu inizialmente casale di Gimigliano. Divenne comune autonomo nel 1811, con la riforma amministrativa napoleonica. Nella chiesa cistercense di S. Giacomo si possono ammirare due splendidi altari, una grande tela della Madonna Assunta della scuola di Mattia Preti e il coro ligneo proveniente da Corazzo.

S.PIETRO APOSTOLO

Anche S. Pietro Apostolo, formatosi in età medievale, è un paese di profughi che dalle coste, minacciate dai saraceni, cercavano rifugio all’interno. Vi confluirono anche coloni di Motta S. Lucia dopo il terremoto del 1638. Fu elevato a comune nel 1807 con la denominazione di “S. Pietro in Tirio-lo” in quanto soggetto alla giurisdizione di Tiriolo. Il 4 maggio 1811 ottenne il nome di S. Pietro Apostolo, patrono del paese. La chiesa di S. Pietro fu consacrata nel 1639. Vi si conserva una tavoletta del 1736 in cui è inciso il ringraziamento al Patrono per aver salvato il paese da una disastrosa tempesta durante la settimana santa di quell’anno. Di grande valore storico-artistico l’altare maggiore in stile barocco, la statua lignea di S. Pietro (1700) e il fonte battesimale (1600). Due lapidi murate nel palazzo Tomaino ricordano che la notte tra il 28 e il 29 agosto 1860 vi dimorò Garibaldi.

Secondo itinerario: da Platania a Carlopoli

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Da Platania a Carlopoli

PLATANIA

Nonostante manchi una documentazione probante, si ha motivo di ritenere che l’origine di Platania possa identificarsi con l’antico Petranium, forse romano o addirittura bruzio, che nel 1269 Carlo d’Angiò costituì in feudo ad Egidio D’Appard, un francese sceso con lui in Italia, con la funzione di costituire un centro di valida difesa dell’importante valico di Acquavona. Dopo un periodo di floridezza, Petranium decadde e restò anche spopolato per un lungo periodo. Nel 1600 è documentata la denominazione di Petrania. Nel 1686 il principe Luigi d’Aquino promuoveva la fondazione del “Casale nuovo di S. Angelo”, concedendo a 33 capifamiglia di Nicastro e Petrania dodici tomolate di terra da coltivare e costruirvi le case. Tuttavia nell’uso locale la denominazione di S. Angelo lentamente scompare. Nelle relazioni ‘ad limina’ del vescovo di Nicastro talora si cita “S. Angelo in Petrania”, altre volte “S. Angelo e Petrania”. Restato unito a Nicastro come “casale”, l’abitato di Petrania-S. Angelo fu costituito comune autonomo nel 1812 con la denominazione ufficiale di Platania. Da visitare gli antichi palazzi del centro storico con i caratteristici portali, la chiesa della Madonna del Riposo (1700) e quella dell’Immacolata (1800).

DECOLLATURA

L'ampia zona che va dal passo di Acquabona fino a Panettieri e Scigliano era indicata nel XVI secolo dai vescovi di Martirano, da cui dipendeva, col nome generico di “luoghi montani”. Successivamente vi sorsero vari villaggi che avrebbero costituito il comune di Decollatura, designati con i cognomi delle famiglie che vi si erano stabilite (Adami, Bonacci, Casenove, Cerrisi, Liardi, Pagliara, Praticello, Rizzi, Stocchi, Tomaini). Si trattava di coloni provenienti da Motta S. Lucia per coltivare i terreni della Mensa vescovile e dell’abbazia di Corazzo avuti in donazione dai Normanni. Gli insediamenti, dapprima stagionali, divennero permanenti dopo il terremoto del 1638 che rase al suolo molti paesi della diocesi. Tanti superstiti accettarono l’invito del vescovo a stabilirsi a Decollatura per coltivare i terreni della Mensa. Il vescovo vi fece costruire la chiesa, alcune casette con granai e una elegante palazzina, per sua residenza estiva, con annessa torre di guardia. Altre chiese furono costruite a metà del 1700 ad Adami, Cerrisi e Casenove. L’autonomia amministrativa fu sancita da un rogito del 29 aprile 1802 del notaio Pirri, che può essere considerato l’atto di nascita del comune di Decollatura. Meritano l’attenzione dei visitatori la chiesa di S. Bernardo (1670) con lo splendido portale proveniente da Corazzo e il “Museo della terra nostra”.

SOVERIA MANNELLI

Nel 1668 la famiglia cosentina Passalacqua, che aveva avuto in feudo un territorio in agro di Scigliano, costruì tra Fornello e Mannelli un palazzo ed un oratorio, sulla piccola pendice della località Monticello, ricca di alberi chiamati “suveri” che dettero alla località il nome di Soveria. Già casale di Scigliano, Soveria divenne comune autonomo nel 1807. Due i fatti storici di interesse internazionale accaduti a Soveria: l’insurrezione contro gli occupatori francesi il 22 marzo 1806 (i cosiddetti vespri soveritani) e la resa borbonica a Garibaldi. L’insurrezione contro i francesi, ricordata da una lapide posta nei pressi della cosiddetta Fontana dei Francesi, fu la scintilla che spinse all’insorgenza antifrancese l’intera regione. La resa dei 12.000 soldati borbonici del generale Ghio avvenne la notte del 31 agosto 1860. All’ingresso del paese vi è un obelisco ove sono riportate le parole del telegramma che Giuseppe Garibaldi fece inviare in Piemonte: “Dite al mondo che con i miei bravi calabresi ho fatto deporre le armi ad una colonna di dodicimila soldati del Borbone”. Da visitare: la chiesa di S. Giovanni Battista con l’altare maggiore di Cosimo Fanzago, riconosciuto come monumento nazionale.

SERRASTRETTA

Circa sei secoli fa (nel 1383) alcune famiglie di Scigliano, per sfuggire al giogo feudale, si allontanarono dal paese cercando una nuova località ricca di acque sorgive con risorse naturali (legna, pascoli, terre da coltivare) che non facesse rimpiangere la loro patria. Questa località la trovarono scendendo per la strada delle Calabrie di romana memoria e, visto che era circondata da alture chiamate “Serre”, la chiamarono Serrastretta. Da un primo censimento del 1558 risultarono già 52 famiglie. Inizialmente fu casale di Feroleto. Divenne autonoma nel 1595. Nei secoli XV e XVI fu sotto il dominio del conte Caracciolo di Nicastro. Passò ai d’Aquino nel 1609 allorché Isabella Caracciolo vendette Feroleto e tutti i suoi casali, tra cui Serrastretta, al conte Carlo d’Aquino. Questi, visitata Serrastretta e colpito dalla salubrità dei luoghi, vi fece costruire un palazzo (detto ‘il castello’) per soggiornarvi in estate. Suggestivo il centro storico con gli antichi palazzi signorili e la chiesa Madre. Da visitare il museo della civiltà contadina.

CARLOPOLI

La storia di Carlopoli è stata collegata con quella di Castagna, che era il più antico villaggio sorto, ad opera di contadini di Diano, nei pressi dell’Abbazia di Corazzo. Nel 1625 un gruppo di contadini di Castagna si trasferì in una nuova area dipendente dall’Abbazia, la futura Carlopoli. Il trasferimento fu autorizzato dal conte di Tiriolo Carlo Cicala, sotto la cui giurisdizione civile era quel territorio, contento soprattutto che, in suo onore, il nuovo insediamento venisse chiamato col suo nome, Carlopoli. Castagna a partire dal 1807 dipendeva dal comune di Soveria Mannelli dal quale fu separato con decreto regio del 1832, divenendo comune autonomo insieme alla frazione Colla. Ma il 1 giugno 1869 cessò di essere comune autonomo e fu aggregato a Carlopoli che era cresciuto col trasferimento di famiglie da Tiriolo e Gimigliano. Da visitare la chiesa di S. Maria del Carmelo con splendide opere pittoriche del 1700.

Terzo itinerario del Savuto: da S. Mango d’Aquino a Motta S. Lucia

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Da S. Mango d’Aquino a Motta S. Lucia

SAN MANGO D’AQUINO

Il territorio ove sorse San Mango faceva parte della diocesi di Tropea. Le origini del paese vanno collegate però alle vicende di Aiello, Pietramala e Savuto, paesi sul versante destro del fiume Savuto. Varie famiglie si spostarono sulla riva sinistra, essendo il territorio più fertile e scarsamente abitato. La trasmigrazione determinante avvenne alla fine del secolo XVI quando iniziò lo smembramento dello “Stato di Aiello”. Si creò così il “Casale” che nel 1591 Carlo d’Aquino acquistò da Eliadora Sambiase. Nel corso del XVI secolo vi si rifugiarono profughi dai paesi vicini, fuorilegge per motivi politici, in particolare da Martirano, Conflenti e Motta S. Lucia. Il “Casale” nel 1640 divenne ufficialmente il paese di “Muricello” che nel 1678 assunse il nome di San Mango, al quale nel 1861 venne unita la specifica “d’Aquino” per distinguerlo da altri centri abitati omonimi quali San Mango Piemonte (SA) e San Mango sul Calore (AV). Da visitare la chiesa Madre di stile neo-rinascimentale.

MARTIRANO-MARTIRANO LOMBARDO

Martirano, insieme a Tiriolo, è il paese più antico del GAL, iniziando la sua storia in epoca romana. Con la conquista normanna assunse uno strategico ruolo militare. Sede di diocesi, divenne capoluogo di contea ed i primi signori furono i Sanseverino. L’originario kastron in epoca bizantina costituiva rifugio per la popolazione della media valle del Savuto, fiume utilizzato dalle scorribande saracene che partivano dal “Ribat” arabo di Amantea. Nel castello nel 1239 fu tenuto prigioniero da Federico II il figlio ribelle Enrico VII che a Martirano morì. Con gli Aragonesi il feudo fu assegnato ad Andrea De Gennaro. Ultimi feudatari, dal 1579, furono i d’Aquino. Il paese fu pressoché distrutto dal terremoto del 1638. La diocesi fu soppressa nel 1818 col Concordato tra Pio VII e Ferdinando I di Borbone. Nel 1905, l’8 settembre, un tremendo terremoto rase al suolo l’abitato. La notizia del disastro, diffusa dalla stampa nazionale, giunse al re Vittorio Emanuele III che il 13 settembre scese a visitare il paese ridotto ad un ammasso di rovine. Si mobilitò la generosità degli italiani e due anni dopo fu inaugurata la sede comunale del nuovo paese costruito a pochi chilometri di distanza, sulle falde del monte Mancuso. Gli fu dato il nome di Martirano Lombardo perché dalla Lombardia era venuto il più potente aiuto. Il trasferimento della sede comunale non fu accettato dagli abitanti e nel 1914, la notte precedente al trasferimento, fu incendiato il palazzo municipale. Nel 1956, dopo decenni di discordie, Martirano Vecchio o, come si preferisce oggi, semplicemente Martirano, ottenne l’autonomia come Comune. Qui sono da visitare i resti del chiostro dell’antico convento dei Domenicani e i portali dei palazzi storici e delle chiese.

CONFLENTI

Sulle origini di Conflenti non ci sono documenti. La fonte più antica, conservata nell’archivio vaticano, è un “mandato” del 30 marzo 1446 col quale il papa Eugenio IV dava disposizione al vescovo di Martirano di provvedere alla nomina del rettore della chiesa di S. Nicola di Conflenti. Il paese, quindi, diviso in Conflenti soprano e sottano, entrambi casali di Martirano, esisteva già da molto tempo. A Conflenti soprano agli inizi del XVI secolo si insediarono profughi ebrei scacciati dalle giudecche di Amantea e Nicastro in seguito alla prammatica del re di Napoli del 23 novembre 1510. A Conflenti sottano invece nella seconda metà del XV secolo giunsero profughi di Castiglione, Gizzeria e altri paesi della valle del Savuto che avevano preso parte alla rivolta dei baroni. La popolazione di Conflenti crebbe nel 1578-1579, quando vi si rifugiò tanta gente fuggita dai paesi colpiti dalla peste. In quegli stessi anni, secondo la tradizione, avvennero le apparizioni della Madonna, che diedero origine al Santuario di Visora, meta ogni anno di migliaia di visitatori e pellegrini.

MOTTA SANTA LUCIA

Il paese, che un tempo era chiamato San Salvatore di Porchia, deriva il suo attuale nome dal tipo di fortificazione che vi fecero i Normanni. La “motta” era un’opera d’arte architettonica militare che veniva realizzata dai soldati normanni a scopo difensivo. Si trattava di un recinto, quasi sempre a pianta circolare, creato da pali infissi nel terreno e riempito di terra e pietre fino ad un certo livello con sopra una o più costruzioni sempre in legno, materiale disponibile per l’abbondanza di boschi in zona. Il punto scelto per la fortificazione era già stato interessato da una struttura religiosa basiliana che poi fu trasformata in abbazia la quale comprendeva tra i suoi beni quasi tutto il territorio attualmente del comune di Decollatura, dipendente dalla Mensa vescovile di Martirano. Al posto delle vecchie strutture fu costruito un castello dopo il quale si allunga il paese. Ai visitatori si offre lo spettacolo degli antichi palazzi con eleganti portali e le due chiese di S. Maria delle Grazie e di S. Lucia.