La Repubblica di Filadelfia
Represso il brigantaggio con ogni genere di rappresaglie e la criminalizzazione di intere comunità, il malcontento delle popolazioni non scomparve in quanto rimasero le cause che lo avevano determinato. Un ultimo sussulto di protesta contadina e di opposizione al nuovo governo piemontese ci fu con la repubblica di Filadelfia (1870). Nei giorni 6 e 7 maggio 1870 in un’ampia zona che abbracciava i comuni di Maida, Cortale, Curinga e Filadelfia e altri centri vicini dei distretti di Nicastro e di Monteleone, scoppiò un moto rivoluzionario con evidenti risvolti bakuninisti.
Il territorio
Lo scopo era quello di instaurare la repubblica secondo l’ideale dell’Alleanza repubblicana universale, creata da Giuseppe Mazzini, che aveva trovato una rapida diffusione nell’Italia meridionale e in Calabria. La rivolta fu organizzata, appunto, da uno di questi comitati, guidato dall’avvocato Giuseppe Giampà, già garibaldino, direttore del giornale di ispirazione repubblicana ‘La luce calabra’, sottoposto a numerosi sequestri per l’arditezza delle sue idee in quanto pubblicava articoli contro il re e la monarchia. Capo supremo delle forze repubblicane col titolo di generale era il figlio di Garibaldi, Ricciotti, il cui ruolo, insieme a quello degli altri intellettuali mazziniani che guidarono il movimento, non fu certamente all’altezza della situazione. La rivolta ebbe come epicentro Filadelfia, con massiccia partecipazione contadina e operaia. Abortì però sul nascere a causa del tempestivo intervento dell’esercito regio (8 maggio) che sparò anche contro gente inerme tra cui i fedeli che rientravano dalla messa mattutina celebrata nella chiesa di S. Teodoro. Ci furono dei feriti (tra cui 7 donne) e anche due morti: un muratore di 43 anni (Michele Serraino) e un giovane contadino di 19 anni (Vincenzo Dastoli). Altri contadini furono arrestati insieme con il Giampà.
Ricciotti Garibaldi
Si parlò immediatamente di tradimento di quei notabili locali di matrice garibaldina che avevano promesso il loro appoggio, ma che invece si tirarono indietro appena si resero conto che lo spirito dell’insurrezione, proprio per la larga partecipazione contadina e operaia, avrebbe messo in discussione i loro consolidati interessi e soprattutto il diritto di proprietà, anche se nel proclama firmato da Giampà si sostenevano il rispetto e la conservazione dell’ordine, la tutela della libertà, dell’onore, della vita e della proprietà di ciascuno. Il moto fallì per varie cause: approssimativa preparazione politica, equivoche intese con circoli ed esponenti filoborbonici, capi che non riuscirono a pervenire ad una chiara impostazione del problema. Tuttavia, anche se fallì sul piano pratico e pur rimanendo circoscritto nella sola zona di svolgimento, il moto repubblicano di Filadelfia contribuì certamente a scuotere la stagnante rassegnazione e a favorire una prima presa di coscienza del proprio ruolo da parte di operai e contadini, dopo secoli di passiva accettazione del proprio destino.
Da questo punto di vista i tre giorni dell’effimera repubblica di Filadelfia non furono certamente, come sosteneva il generale Sacchi, un episodio di malandrinaggio mascherato da moto insurrezionale politico.