Il baliaggio di Sant’Eufemia

Nel Settecento il baliaggio gerosolimitano di S. Eufemia risultava “una delle più ragguardevoli dignità che possiede la Ven. Lingua d’Italia per essere composto d’un vastissimo territorio, fornito di più feudi uno contiguo all’altro, e tutti soggetti al governo ed alla giurisdizione dei Priori che di mano in mano hanno il merito di possederlo”. La situazione però, specialmente a partire dalla seconda metà del secolo, era ormai di declino anche a causa di un clima sociale divenuto sempre più turbolento. Dopo il disastroso terremoto del 1638, al quale i vari visitatori gerosolimitani facevano risalire l’origine della decadenza del baliaggio, il processo di decadimento fu accelerato dall’incuria e dalla negligenza dei titolari del baliaggio.

Lamezia Terme

Simbolo Gerosolimitano

Lo leggiamo in una memoria del 1760:

“Tra le più illustri Dignità della S. Religione Gerosolimitana esistenti in Italia un tempo era compreso il Baliato di S. Eufemia al quale era pertinente un ampio territorio sul quale esercitava entrambe le giurisdizioni, spirituale e temporale. Col passare del tempo e a causa delle varie vicissitudini accadde che, come nell’anno 1624, i frutti del baliaggio toccassero i 5800 ducati, come consta dal cabreo redatto in quello stesso anno, che è il più antico di quelli attualmente esistenti ed è conservato nell’archivio del Grande Priorato di Capua. Tuttavia nell’altro cabreo del 1705 redatto ad istanza del Priore Stefano dei Conti Sanvitale i suoi redditi e proventi furono del valore di 3800 ducati. La prima e principale ragione del decremento del baliaggio giustamente può essere ricercata nel terremoto del 1638 che devastò quasi interamente le Calabrie. A causa del suo impeto risultò sradicato fin dalle profondità il villaggio di S. Eufemia che era il principale del baliato e gli diede il nome e con pari o maggiore rovina crollarono gli edifici che, circondando la baia lametina, vi costituivano come un sicurissimo porto […]. Onde accadde che, venuti a mancare gli abitanti, contemporaneamente vennero meno gli agricoltori. Questa disgrazia divenne di giorno in giorno più grave soprattutto perché, a causa dei ruderi degli edifici abbattuti e della massa delle sabbie, venne occluso l’alveo attraverso il quale la predetta baia si congiungeva col mare e riceveva le sue acque e i suoi flutti, trasformandosi in breve tempo in un morto e fetido lago. Per il fetore delle acque e le gravi esalazioni che vi si sprigionavano l’aria insalubre, col suo effetto letale, quasi annientò il resto degli abitanti e, nello stesso tempo, impedì che altri ne venissero da fuori e potessero erigervi le abitazioni. Tutte queste cose e ancor più si ricavano dalla solenne Visita del Baliaggio fatta nel 1751, dalla quale emergono anche tutti i mali in cui a poco a poco lo stesso baliaggio era caduto. Dalla mancanza di abitanti, unita alla negligenza e all’incuria del Commendatori che successivamente lo possedettero, tutti gli edifici sia sacri che profani o erano abbattuti al suolo o minacciavano la imminente rovina. Se era rimasta qualche chiesa spoglia delle necessarie suppellettili e perfino delle porte, esse sembravano antri e ricettacoli di fiere e bestie. Le fertili terre furono coperte dappertutto da spineti e roveti. I fiumi, superati gli argini, avevano inondato i prati e li avevano resi paludosi. I diritti si erano persi o per il disuso o perché usurpati dai signori che possedevano i feudi e gli immobili contermini, i quali, avendo oltrepassato i confini, avevano occupato i beni del baliato, come esattamente si testimonia nella relazione dei Visitatori”.

"Gli intrighi, i maneggi, i litigi, le contese fra gli stessi ‘Venerabili Commendatori’ giovanniti per il possesso della pingue commenda baliale di S. Eufemia, le liti giurisdizionali dei gerosolimitani con i vescovi viciniori, specie con quelli di Nicastro, le controversie con gli enfiteuti, gli affittuari delle terre, degli edifizi e delle gabelle e le stesse università locali facevano assistere a continui conflitti, causando, di conseguenza, disagi economici e disordini sociali, con episodi di malvivenza, che si riscontravano soprattutto tra i ceti disagiati”. Le liti giurisdizionali della commenda di S. Eufemia col vescovo di Nicastro erano più che mai vive nel settecento. Nella relazione ad limina del 1726 il vescovo Domenico Angeletti (1719-1731), nel terzo postulato del capitolo nono, affronta proprio il conflitto di giurisdizione col baliato di S. Eufemia. Scrive:

“Non solo dentro i confini della diocesi, ma proprio all’interno del territorio stesso di questa città di Nicastro esiste la terra di S. Eufemia del Golfo e, contermine al medesimo territorio di NIcastro, c’è l’altro paese o casale di Gezzaria o Jussaria, che sono del dominio temporale della Sacra Religione Gerosolimitana, ossia del Baliato di S. Eufemia del Golfo. Queste due località pretendono di non appartenere a nessuna diocesi. Non c’è dubbio però che la cattedrale di Nicastro sia la più vicina e sia maggiormente in possesso dei diritti di viciniorità, poiché la Dataria e la Cancelleria Apostolica e la Segreteria dei Brevi e tutte le Sacre Congregazioni in tutte le materie di dispute matrimoniali e lettere apostoliche e dei mandati da eseguire riguardanti le predette terre o paesi di S. Eufemia e Gezzaria, sempre ne hanno dato affidamento al vescovo di Nicastro in quanto più vicino. E inoltre i medesimi paesi hanno sempre ricevuto dallo stesso vescovo gli oli santi e il sacramento della Cresima. Perciò, senza danno per i diritti competenti al vescovo di Nicastro, contro la loro pretesa di non appartenere a nessuna diocesi, supplice chiedo che ora venga dichiarato che compete al vescovo di Nicastro, in quanto più vicino, la giurisdizione delegata dal Concilio di Trento e dalle convenzioni apostoliche in ciò che concerne la visita, la cura delle anime, l’amministrazione dei sacramenti, le cause matrimoniali e criminali, il conferimento degli ordini, l’amministrazione della Cresima, l’approvazione dei confessori e dei predicatori, le benedizioni e conservazioni e tutti gli altri atti riguardanti la spiritualità”.

A sostegno del suo diritto il vescovo richiama alcune bolle papali sull’argomento e, in particolare, una di Pio V e un’altra di Gregorio XIII. Ma, soprattutto, richiama l’urgenza di una presenza vescovile in quelle terre “abitate dai greci, a causa degli scandali quotidiani” che vi succedono.

“E poiché recentemente il vicario del baglivo ha osato, contro l’antica consuetudine, ingerirsi nelle questioni matrimoniali e anche mandare i cresimandi al vescovo di Catanzaro la cui cattedrale dista da S. Eufemia circa 25 miglia, in pregiudizio della cattedrale di NIcastro che non dista da S. Eufemia se non 5 miglia, ho amminito il medesimo vicario a esporre la causa per cui non debba dichiararsi soggetto alle censure contenute nella bolla ‘Coenae Domini’ per aver trasgredito e pregiudicato la giurisdizione del vescovo di Nicastro. Il vicario, contro la suddetta ammonizione, si è appellato alle EE. VV. e il baglivo della Sacra Religione Gerosolimitana si è rivolto al Tribunale della Nunziatura Apostolica di Napoli. E da parte del promotore fiscale di questa curia fu replicato al medesimo rev.mo Nunzio e al Tribunale della Nunziatura che essi non possono ingerirsi in una causa del genere, non consentendolo il Sacro Concilio di Trento e la suddetta Bolla di Pio V. Di fronte alla replica del procuratore fiscale di questa curia il rev.mo Nunzio finora non ha proceduto oltre. E in questo stato, previa avocazione della causa a codesta Sacra Congregazione, alla quale spetta ‘ex omni jure’, si supplicano le EE. VV. a dichiarare come sopra”.

Inoltre, va sottolineato che l’Ordine di Malta non esercitò certo nel territorio lametino quelle funzioni assistenziali che erano una prerogativa dell’istituzione gerosolimitana. Come tutte le altre commende meridionali dell’Ordine, il baliaggio di S. Eufemia, come abbiamo già detto, si caratterizzava per il suo prevalente carattere patrimoniale e di feudo. Aveva inoltre giurisdizione sia civile che criminale sui vasti territori da esso dipendenti, ma, nonostante le cospicue e pesanti esazioni fiscali annuali sulle popolazioni, queste ne avevano scarso beneficio in quanto la maggior parte delle entrate veniva convogliata verso Malta o sfruttata personalmente dai detentori della commenda. Inoltre le rendite andavano distribuite anche fra i cavalieri gerosolimitani pensionati. Nessuna ricaduta positiva c’era, quindi, sulle condizioni di vita della gente, nessuno sviluppo della realtà economica e sociale, nessun aggiornamento dei rapporti di produzione, nessuna creazione di forme più moderne e redditizie di organizzazione produttiva, nessuno sforzo per una elevazione morale, civile e religiosa dei ceti subalterni. Anzi, il progressivo sgretolamento della proprietà ecclesiastica e il suo conseguente accaparramento da parte della borghesia emergente, aggravarono sempre più le condizioni di sudditanza e di sfruttamento delle masse contadine soggette alla servitù della terra.

Sullo sfondo di questa realtà allignavano e prosperavano la delinquenza e il banditismo. Infatti, oltre che sui fattori sociali ed economici che sempre hanno determinato quello che sarà chiamato brigantaggio, il malandrinaggio nei vasti territori del baliaggio era incoraggiato non solo dalle rivalità e dalle fazioni fra i ricchi possidenti, ma anche dai governatori gerosolimitani che, a loro volta, erano padroni di terre, gabelle ed altri diritti feudali, “ma per nulla provvidi, anzi privi di quella coscienza sociale di cui difettavano, in pari tempo, i feudatari laici”. Si legge nella relazione del 1751 scritta da due visitatori cavalieri gerosolimitani francesi, fra’ Martino de Charmailles e fra’ Antonio de Saintoven: “…Non avendo in questo dominio campeggiata nei passati governi la giustizia, i vassalli, proclivi alla vendetta, proruppero in mille delitti. Li più ricchi divennero tiranni ed i poveri facinorosi. Quelli col denaro si liberavano della pena, questi non potendo pagare si lanciavano nei vicini scoscesi boschi, raminghi nelle montagne, senza speranza di perdono, dalli loro inaccessibili ricoveri oppressa tenevano la patria”. Morto nel 1748 il balì Girolamo Statella, diventò titolare del baliaggio gerosolimitano di S. Eufemia Francesco Pappalettere. Come si legge in un memoriale inviato al papa Clemente XIII nel 1760, “questo Venerabile Religioso carico d’anni e di merito” si rese subito conto che “il Baliaggio era andato in decadenza” sia per “la poca avvedutezza de’ Priori trasandati” sia per “l’indolenza de’ vassalli,” sia per “la rapacità de’ Popoli confinanti avvezzi all’ingrassarsi colle sostanze di quello”. Pertanto decise che “per restituirlo al suo pristino stato non vi sarebbe stato mezzo più efficace che il trasferirsi di persona sulla faccia del Luogo ove il Priore, ripigliando le redini della Giustizia, sperar potea di tenere a freno quei Popoli”.

Però si rese conto che “l’età sua cadente” non gli permetteva di “sloggiare da Malta e dal convento ove tuttora dimora” e che, quindi, “gli mancavano le forze ad eseguire un tale disegno”. Tuttavia, “desideroso di dare al Baliaggio un qualche riparo” decise di “surrogare altri in sua vece”, affidando il baliaggio al “Commendatore Gio. Antonio Lamberti”, destinandovelo “per suo luogotenente colla benigna permissione del Gran Maestro” ed inviandolo a S. Eufemia “con ampie facoltà come se fosse stato la medesima sua Persona”. La gestione del Lamberti si rivelò un esempio di mal governo amministrativo tanto che “in luogo d’introitare il Ven. Tesoro il Mortorio e Vacante, ci rimise del suo”. Il 19 ottobre 1750 il baliaggio risulta fittato, per la durata della loro vita, ai fratelli Francesco e Giuseppe Parisio con la “facoltà al superstite di essi di potere nominare nell’affitto di detto baliaggio uno della famiglia Parisio”. Il canone di fitto era fissato per i primi cinque anni, a partire dal maggio 1751, in 1000 ducati, per il secondo e il terzo triennio in 1500 ducati e durante il resto della loro vita in 2000 ducati. Il contratto risulta confermato con bolla di Benedetto XIV in data 23 novembre 1750. Nel 1735 e nel 1749 il baliaggio risultava affittato per soli mille ducati annui. La riduzione ulteriore delle rendite a causa delle usurpazioni e della cattiva amministrazione emerge da una platea generale del 1791, mentre in una lettera scritta dal Gran Maestro dell’Ordine Gerosolimitano al cardinale Valenti è denunciato il “deplorevole stato in cui si trovò il Baliaggio la cui amministrazione per più di un secolo ha incomodato e spaventato tutti gli antepassati Baglivi di S. Eufemia”. La fine del vassallaggio e, quindi, il tramonto dell’abbazia come istituzione religiosa e feudale si ebbe nel 1806 con la soppressione della feudalità nel Regno di Napoli e la vendita dei beni appartenenti agli enti religiosi. Tulle le dipendenze feudali appartenenti ai gerosolimitani di S. Eufemia furono demanializzate. Ultimo balì fu fra’ Bartolomeo d’Arezzo. Ultimo procuratore D. Gaspare Fiore Serra di Nicastro.